Scavando fra vecchi file è spuntato fuori questo articolo scritto più di dieci anni fa. Rileggendolo mi sono reso conto di quanto alcuni elementi siano tutt’ora avvolti nell’oscurità o praticamente stravolti, grazie anche al camaleontico Nolan Bushnell che ce ne racconta sempre una. Quale sia la verità possono saperlo solo i diretti interessati, ma a me piace ricordarla così, quindi non modificherò nulla, errori compresi.
Dopotutto questa è la storia quasi vera di Pong.
Buona lettura 🙂
Nel bel mezzo della Silicon Valley c’è il Rooster T. Feathers un locale che ha preso il posto del ben più famoso Andy Capp’s Tavern, un bar in cui la gente del vicinato si ubriacava in compagnia. Il barcollare altalenante dei clienti fece da contorno ad un cubicolo di legno che di li a poco sarebbe diventato un fenomeno di massa, dando i natali ad un’industria che avrebbe causato nel tempo danni irreparabili a vite sociali ed economie familiari.

2 mazze e una pallina. Ci avreste scommesso?
Correva l’anno 1966, e in Italia nascevano i Pooh. Questa immane tragedia non scalfì minimamente Nolan Bushnell, che una volta constatato che il cielo è blu sopra le nuvole decise di continuare i suoi studi di elettrotecnica all’università dello Utah. I videogiochi esistevano già, ma erano a dir poco grezzi, e giravano su computer tanto costosi quanto limitati, e soprattutto accessibili da pochi eletti.
Nolan bighellonava spesso sul computer dell’università per giocare a “Spacewar!”, probabilmente il primo videogioco ad assomigliare ad un videogioco. Questa piccola perla girava su uno di quei computer grandi come una stanza, nel caso specifico un DEC PDP-1. Durante il suo lavoro estivo al Lagoon, un parco divertimenti di Salt Lake City, il buon Bushnell immaginava un qualche “Spacewar!” a gettoni, e ai potenziali profitti che se ne sarebbero potuti ricavare. L’idea però era poco realizzabile dal punto di vista economico, dati i costi proibitivi della componentistica necessaria, quindi il progetto fu temporaneamente accantonato.

Configurazione standard per giocare a Spacewar! sul PDP1
Dopo il conseguimento della laurea nel 1968, Bushnell trovò lavoro alla Ampex, una delle più grandi aziende ingegneristiche del tempo. Qui conobbe Ted Dabney, con il quale condivise un piccolo ufficio e la passione per il “GO”, un gioco che io non ci ho capito una mazza, ma niente proprio. Avevano una scacchiera appesa al muro, con la quale giocavano solo nelle pause pranzo. Secondo me ci giocavano sempre, ma la storia la fanno gli instancabili eroi americani, quindi teniamo per buone le pause pranzo.
Alla Ampex prendevano un botto di soldi, abbastanza da poter stare tranquilli e senza pensieri, ma l’idea di un videogame a gettoni aveva piantato radici profonde nella testa di Nolan, che nel 1969 convinse Ted a lasciare la ditta per la quale lavoravano per fondare la Syzygy e dare vita al progetto. I colleghi non riuscivano a comprendere il motivo di questa scelta, dopotutto i videogiochi erano praticamente inesistenti e la cosa più interattiva che potevi trovare in casa era il tostapane.

Ted e Nolan che giocano a Go durante la pausa pranzo
Con la collaborazione della Nutting Associates produssero Computer Space, il primo videogioco a gettoni della storia, praticamente uno “Spacewar!” in versione mangiamonete. Ne furono prodotti circa 2000 esemplari, e nonostante la buona diffusione, i risultati commerciali non furono esaltanti. Qui ci starebbe benissimo un “grazie al cazzo” dato che il gioco era di difficile approccio per la clientela tipica di un bar. Si trattava di una nuova forma di intrattenimento, bisognava partire con qualcosa di più semplice.
Nel frattempo, i 2 inconsapevoli pionieri dovettero dare un nuovo nome alla loro società, dato che il nome scelto risultò essere già registrato. Si, esisteva un’altra azienda che si chiamava Syzygy, pensate un pò che culo. La scelta ricadde quindi su Atari, un termine che nel “Go” è usato per descrivere una situazione simile allo scacco al re nel gioco degli scacchi.
E secondo me ci giocavano sempre.

Computer Space e il suo cabinato preoccupantemente fallico
Il 1972 fu un anno ricco di eventi. La Magnavox commercializzò l’Odyssey, la prima console collegabile alla tv creata da Ralph Baer, noto come l’inventore dei videogiochi. Il 24 Maggio di quell’anno, Bushnell andò a Burlingame, California, dove si tenne una dimostrazione del prodotto. Fra i vari giochi presentati c’era quella che definivano una rappresentazione del tennis. Con un’enorme dose di fantasia potevi effettivamente vederci il tennis in quelle mazzarelle con la pallina. Era rudimentale, ma i presenti apprezzarono. Questo entusiasmo generale colpì Nolan, il quale intuì che c’era qualcosa che stava cambiando, qualcosa che andava subito identificato e sfruttato. Il primo passo fu contattare la Bally Midway, nota produttrice di flipper, con la quale sottoscrisse un contratto che prevedeva la produzione di un flipper e di un videogioco, nello specifico un racing game. Il secondo passo fu cercare di mettere su un team, quindi contattò un ex collega dell’Ampex, Al Alcorn, il quale era particolarmente talentuoso in informatica e in ingegneria elettrica, ma sapeva una mazza di game design (come credo chiunque, all’epoca). Al accettò l’incarico con la tranquillità di chi sarebbe tornato al vecchio lavoro nel caso che le cose fossero andate male. Ted ebbe il compito di fare il flipper, mentre Alcorn dovette lavorare su una versione arcade del gioco visto sull’Odyssey, al posto del gioco di guida pattuito. Sul perchè di quest’ultima scelta ci sono pareri discordanti. Alcune fonti dicono che sia stato fatto in buona fede, pensando che la Bally avrebbe accettato comunque il videogioco. Altri dicono che fu fatto di proposito per portare alla rescissione del contratto e detenere così tutti i diritti del prodotto. “Nolan Bushnell” e “buona fede” fanno però fatica a convivere nella stessa frase.

Magnavox Odissey. Non si capisce chi stesse facendo cosa
Al completò Pong in tre mesi. C’erano 75 circuiti TTL che controllavano le mazze, la pallina e il contatore dei punti. Le istruzioni erano molto semplici, infatti l’unica scritta che capeggiava sul cabinato finale era “avoid missing ball for high score”, in pratica “se perdi le palle, perdi”. Wow.
Il gioco fu confezionato in un contenitore arancione con dentro una tv Hitachi in bianco e nero comprata da Al per $75 da un rivenditore locale. La gettoniera fu ricavata da una bottiglia di plastica per il latte. Portarono questo cabinato poco convinto e poco convincente all’Andy Capp’s Tavern. Bill Gattis, il proprietario del bar, appena li vide con una mano si toccò le palle e con l’altra indicò il cabinato di Computer Space, che era li principalmente a consumare energia elettrica. I bravi ragazzi riuscirono a convincere Bill a sperimentare questo nuovo prodotto, e lo piazzarono su un barile, nella zone dove c’erano i flipper, il jukebox e il famelico cabinato di Computer Space. Pong era un gioco semplice da capire e difficile da padroneggiare, soprattutto nel coin op originale dove, a causa di alcuni limiti tecnici, le mazze non potevano difendere tutta l’area, non arrivando a toccare i bordi, elemento che arricchì in qualche modo il gameplay.
I membri dell’Atari rimasero nel bar un paio d’ore per valutare la reazione dei clienti, che si rivelò oltremodo incoraggiante.

La prima incarnazione di Pong
Forte di questo preliminare successo, Nolan incartò una versione trasportabile del gioco, e andò a Chicago, nella sede della Bally Midway. Durante la sua assenza, il gioco posto nell’Andy Capp’s Tavern smise di funzionare. Il proprietario del bar con una mano si toccò le palle e con quell’altra chiamò l’Atari, inveendo in codice. Al Alcorn, che era una persona dalla spiccata spiritualità, colse il significato mistico del codice, e passò a dare un’occhiata. Le varie fonti che ho consultato dicono che la causa del malfunzionamento fu la gettoniera stracolma. E qui mi sorge una domanda: ma come si fa a non capire che c’è la gettoniera piena? In ogni caso, Al sostituì la gettoniera con un contenitore più grande.
Il gioco confermò il suo successo, al punto che in parecchi si recavano al bar solo per giocare, cosa insolita all’epoca.
Ma torniamo a Chicago. La Bally Midway rifiutò Pong, e dato che il contratto non era stato rispettato, fu rescisso, lasciando all’Atari i diritti del gioco. (Toh, che cosa inaspettata, vero Nolan?)
Al suo ritorno si incontrò con gli altri due membri all’Andy Capp’s, e li mise al corrente dei risvolti della trattativa. Alcorn riferì a Bushnell della gettoniera stracolma, e che in pochi giorni il prototipo aveva raggiunto una ragguardevole notorietà, un ottimo pretesto per mettersi definitivamente in proprio e cominciare a produrre in autonomia i cabinati, opera fino a quel momento affidata a Nutting Associates.

Il trio ll’erta e pieno di brio, Ted Dabney, Nolan Bushnell e Allan Alcorn
I tre dovettero arrangiarsi parecchio per cominciare la produzione. Ted comprò di tasca sua 50 tv da un distributore di San Francisco, successivamente chiamò un falegname ordinandogli 50 cabinati, non sapendo quando e se fosse riuscito a pagarli. Nel novembre del 1972 furono assemblati 12 cabinati e furono piazzati in giro per il sud della California. Comprarono anche un furgone malmesso per effettuare personalmente i trasporti. La distribuzione di Pong era ufficialmente iniziata. A marzo del 1973, Atari aveva già prodotto e distribuito 8000 cabinati. Altri sviluppatori, vedendo il successo del gioco vollero cavalcare l’onda per accaparrarsi qualche profitto, dando inizio all’invasione di cloni del gioco. Il bello è che per copiare Pong, puoi solo fare Pong. Al massimo puoi spostare la posizione dei punteggi. I cloni più noti erano Paddle Battle, Space Ball, Paddle-Ball, Winner e Rally (Rally???). Alcuni anni dopo ci fu una vera e propria invasione di cloni in versione casalinga. Impossibile tenerne il conto. Fare il “clonista” era molto redditizio, niente costi di sviluppo ne di marketing.
Alcorn, ricordando quei giorni, usa la famosa citazione “l’imitazione è la forma più sincera della lusinga”, per poi concludere con “stronzate, meglio i soldi”. Le imitazioni però non ostacolarono la crescita di Atari. Bushnell stimò che i cabinati ufficiali fruttarono mediamente $40 al giorno, che moltiplicati per tutti cabinati attivi facevano un bel gruzzolo. Nei primi 2 anni furono venduti cabinati per $3.200.000.

Il furgone per il trasporto dei cabinati. Mi piace immaginarlo così
Prima del successo di Pong, tutti scommettevano sulla chiusura dell’Atari. Nessuno avrebbe mai immaginato che un gioco così semplice fosse esattamente ciò che la gente voleva. Oggi è considerato il più importante arcade game della storia, responsabile della nascita dell’industria videoludica e della proliferazione di massa dei videogames. Si stima che abbia incassato 78,5 miliardi di dollari, nel periodo che va dalla sua nascita alla fine del 2012.
Ma dopo Pong, cosa è successo?
Le produzioni successive furono Space Race e Tank, entrambi affidati ad un altro ex della Ampex, Steve Bristow. Ma il vero erede di Pong fu un gioco creato da un ventenne drogatissimo di San Francisco, rientrato da poco da un viaggio sabbatico in India, che avvalendosi della collaborazione di un amico che lavorava presso la HP diede vita a Breakout, cavallo di battaglia Atari per molti anni a venire. I due erano Steve Jobs e Steve Wozniak. Sono ovunque. Ieri ho alzato il tappeto e c’erano Steve Jobs e Steve Wozniak.
Poi Steve Jobs ha tirato fuori la verità su breakout, ma questa è un’altra storia.

Stavo cercando immagini di breakout su google… Cliccate sull’immagine
L’Atari fu successivamente acquisita dalla Warner Communications per la maestosa cifra di $28.000.000, di cui $15.000.000 finirono diritti nelle tasche di Nolan. Ted Dabney fu progressivamente escluso dalle attività della compagnia, in quanto ritenuto non necessario. Ralph Baer disse che Nolan diede sicuramente il via all’intera industria videoludica, ma non inventò una minchia. Il creatore dell’Odissey ha sempre sostenuto che Pong fosse un clone del suo gioco del tennis, e insieme alla Magnavox portò tutti in tribunale. Oltre alla somiglianza fra i due giochi, Ralph Baer e la Magnavox erano detentori di alcuni brevetti riguardanti l’interazione su schermo fra elementi controllati dalla macchina ed elementi controllati dal giocatore, probabilmente una meccanica comune a tutti i videogiochi. Nel 1976 l’Atari perse la causa, e subì un duro colpo finanziario. Alcorn ricorda che furono pagati $300.000, Bushnell dice $500.000, e Curt Vendel, che ha visionato la documentazione riguardante il processo, afferma che furono $1.500.000. Baer sostiene che Bushnell, sapendo che avrebbe perso la causa, preferì patteggiare, e Pong divenne una licenza Magnavox, con tutte le conseguenze del caso. Da parte sua, Nolan ha sempre ritenuto che avrebbe vinto la causa, ma scelse il patteggiamento per una questione strategico-economica. Per la serie “Nolan ce la racconta”.

Ralph Baer sull’esito della controversia legale
Al di là della leggera ironia, Pong ha sicuramente il merito di aver portato i videogiochi nella cultura contemporanea, e di aver scoccato la scintilla che ha fatto nascere un settore dell’intrattenimento che nel tempo è diventato il più redditizio.