RetroBit Lab

Retrocomputing & retrogaming

Interfaccia cassette per vari Commodore

Ho ritrovato un vecchio “Schemario KIT” di Nuova Elettronica, e all’interno ci sono una serie di quelli che oggi chiamiamo retroprogetti. Ce ne sono vari, alcuni dei quali potrebbero avere ancora la loro utilità.

In questo schema c’è un circuito che permette di collegare un qualsiasi registratore a cassette sui computer Commodore Vic20, C64, C128 e alcuni modelli di PET, con tanto di led di attività in lettura e scrittura.

SCANSIONE IN ALTA RISOLUZIONE

Pong all in one

Ho da parte alcuni Sony SSM930. Sono dei piccoli monitor da 9 pollici in bianco e nero, solitamente utilizzati per videosorveglianza, con ingresso composito tramite connettore BNC.
Queste specifiche ne restringono di parecchio il range di utilizzo, limitandolo a qualche vecchia console in bianco e nero, tipo qualche pong on a chip.

Ho preso un vecchio Tele Partner, e dopo averlo smontato per modificare il segnale video in uscita mi sono reso conto che all’interno del piccolo monitor c’era spazio sufficiente a contenere l’intera scheda.

Il lavoro di conversione del segnale video è stato semplice, grazie alle info ricevute dall’amico Xad e grazie al fatto che non c’è stato bisogno di circuiteria aggiuntiva. In pratica il Pong on a chip gestisce tutto da quel singolo chip, oltre al quale ci sono solo componenti come resistenze, condensatori e diodi. Nel mio caso parliamo di un AY-3-8500. I segnali video necessari sono cinque, quattro riguardano i componenti del gioco (pallina, giocatore destro, giocatore sinistro, campo+punteggi) e uno per il sync. Solitamente questi cinque segnali convergono poco prima di essere modulati in RF. Nel mio caso è bastato collegare direttamente questo punto di join all’ingresso composito (e relativo gnd). Sulle tv pare sia necessaria una circuiteria extra che “pulisca” il segnale, nel mio caso il segnale è risultato perfetto così com’è.

Poi è toccato al case. Dopo aver fatto i fori necessari per i controlli della scheda, l’ho verniciato di arancione, per dargli quel tocco “vintage”. Una volta sistemato tutti i cablaggi e fissato la scheda, ho inserito un alimentatore da 9v all’interno del piccolo monitor, collegandolo in modo che il pong si accenda col tasto power del monitor. Finiti gli utlimi collegamenti ho piazzato lo speaker sul retro e utilizzato due connettori RCA per la parte paddles. A questi ultimi ho cambiato il cavo utilizzandone uno più lungo. Avrei voluto utilizzare un cavo telefonico, quelli arrotolati, ma non ce l’avevo a disposizione. Probabilmente in futuro lo cambierò. Ho infine aggiunto un pò di loghi RetroBit Lab sui paddles e sul monitor.

Uno dei grandi deterrenti dell’utilizzare quella console era il fatto di doverla alimentare a parte, collegarla ad una tv via rf e avere molti cavi sparsi. Adesso basta appoggiare il pratico monitor da qualche parte, collegarlo alla rete elettrica e giocare.

Tiny Pc – Minuscolo e funzionante

Paul Klinger è l’autore di un simpatico micro pc. Il case è stampato in 3D con tanto di finestrina trasparente che mostra il cuore del computer, ovvero un microcontroller ATtiny1614, con un led RGB WS2812B collegato ad un piccolo pezzo di fibra ottica, che cambia colore in base al gioco. Il monitor invece è un piccolo schermo OLED 128×64. Il tutto controllato con un joystick composto da un piccolo switch a 5 posizioni.
Su GitHub trovate tutto il necessario per riprodurne uno, dai modelli 3D al codice.

Vecchi netbook e retrogaming – Lakka

Cosa ci facciamo oggi con un vecchio netbook?

Acquistai un Asus EeePc 1000h più di dieci anni fa, e all’epoca era abbastanza utilizzabile per piccoli task (internet, mail, word processor, qualche film). I punti forti erano da ricercare nella praticità e nella durata della batteria.
Dopo qualche anno gli misi un ssd, portai la ram a 2gb, installai DebianEdu e lo diedi in pasto ai pargoli, che divertendosi hanno imparato un pò di cosette, fino al passaggio ad un altro vecchio pc un pò più performante. 
Il netbook era quindi stato messo via, ma mi dispiaceva lasciarlo solo e abbandonato, e di buttarlo non se ne parla proprio. Ma cosa possiamo farci con un computer con una potenza di calcolo inferiore anche ad un Pentium III?

Classifica presa da https://www.cpubenchmark.net/cpu_list.php

EMULATORI!

Dopo aver provato e confrontato varie distro linux e un paio di windows, ho scelto Lakka, una distro linux superleggera dedicata al retrogaming che si basa su LibreElec e Retroarch. L’installazione è semplice, ma di default utilizza un’interfaccia grafica che il piccolo eeepc non riesce a far girare, la XMB in stile PSP. A fine installazione il computer entra quindi in un perpetuo bootloop, ma per risolvere basta entrare in riga di comando e modificare il file di configurazione impostando l’interfaccia su “rgui”, spartana ma leggera. Le impostazioni di base sono funzionali, ho modificato qualcosa solo per questioni estetiche e di gusti personali. Per concludere ho riempito l’hd di rom prese dai set “no intro” e “tosec”. 
Ho utilizzato un joypad usb da 3 euro, è stato riconosciuto al volo, la mappatura è automatica in base all’emulatore.
Lakka è disponibile in versione 32bit e 64bit, ed ogni versione ha il suo set di core preinstallati. Questo Eeepc monta una cpu Atom N270 a 32 bit, quindi la scelta è obbligata.
Questa è la lista completa dei core della versione 32 bit. Non ho testato tutto, ma buona parte. Ho provato almeno 3 giochi per ogni emulatore, per escludere malfunzionamenti specifici di una rom. Per “velocità massima intendo” 50 e 60 fps (a seconda del gioco).

LISTA EMULATORI

  • Amstrad – CPC (Funziona – Velocità massima)
  • Arcade – FB Alpha (Non testato)
  • Arcade – MAME (Non testato)
  • Atari – 2600 (Funziona – Velocità massima)
  • Atari – 5200 (Funziona – Velocità massima)
  • Atari – 7800 (Funziona – Velocità massima)
  • Atari – Jaguar (Funziona – Molto lento)
  • Atari – Lynx (Funziona – Velocità massima)
  • Atari – ST/STE/TT/Falcon (Non testato)
  • Bandai – WonderSwan Color (Funziona – Velocità massima)
  • Bandai – WonderSwan (Funziona – Velocità massima)
  • Coleco – Colecovision (Funziona – Velocità massima)
  • Commodore – Amiga (Funziona – Lento)
  • Commodore – C128 (Non testato)
  • Commodore – C64 (Funziona – Velocità massima)
  • Commodore – Plus4 (Non testato)
  • Commodore – VIC20 (Non testato)
  • GCE – Vectrex (Funziona – Velocità massima)
  • Handhled Electronic (tipo Game&Watch) (Funziona – Velocità massima)
  • Magnavox – Odissey2 / Videopac+ (Funziona – Velocità massima)
  • Mattel – Intellivision (Funziona – Velocità massima)
  • Microsoft – MSX (Funziona – Velocità massima)
  • Microsoft – MSX2 (Funziona – Velocità massima)
  • NEC – PC Engine SuperGrafx (Funziona – Velocità massima)
  • NEC – PC Engine – TurboGrafx 16 (Funziona – Velocità massima)
  • NEC – PC98 (Non testato)
  • NEC – PC-FX (Non testato)
  • Nintendo – DS / DSi (Non testato)
  • Nintendo – Famicom Disk System (Funziona – Velocità massima)
  • Nintendo – Game Boy Advance (e-Cards) (Non testato)
  • Nintendo – Game Boy Advance (Funziona – Velocità massima)
  • Nintendo – Game Boy Color (Funziona – Velocità massima)
  • Nintendo – Game Boy (Funziona – Velocità massima)
  • Nintendo – Nintendo 64 (Non funziona – Problemi coi driver video)
  • Nintendo – Nintendo Entertainment System (Funziona – Velocità massima)
  • Nintendo – Satellaview (Non testato)
  • Nintendo – Super Nintendo Entertainment System (Funziona – Velocità massima)
  • Nintendo – Virtual Boy (Funziona – Velocità massima)
  • ScummVM (Non testato)
  • Sega – CD/32X (Funziona – Velocità massima)
  • Sega – Dreamcast (Non testato)
  • Sega – Game Gear (Funziona – Velocità massima)
  • Sega – Master System – Mark III (Funziona – Velocità massima)
  • Sega – Mega Drive – Genesis (Funziona – Velocità massima)
  • Sega – PICO (Non testato)
  • Sega – Saturn (Non testato)
  • Sega – SG-1000 (Non testato)
  • Sinclair – ZX Spectrum (Non testato)
  • SNK – Neo Geo Pocket Color (Funziona – Velocità massima)
  • SNK – Neo Geo Pocket (Funziona – Velocità massima)
  • Sony – PlayStation Portable (Non funziona – Problemi coi driver video)
  • Sony – PlayStation (Funziona – Lento)
  • Spectravideo – SVI (Non testato)

Conclusioni

Se escludete utilizzi come router o come web server, il netbook in questione non ha molti motivi di esistere, e utilizzarlo come base per emulatori può essere una valida alternativa. 
E’ piccolo, estremamente maneggevole e ha un monitor incorporato. Le uscite audio e video (rispettivamente mini-jack stereo e VGA) sono sicuramente un valore aggiunto. Se la batteria è in buone condizioni può durare parecchie ore. 
Lo schermo incorporato non è affatto male, è piccolo e ha una risoluzione bassa (1024×600), quindi ha un’immagine sicuramente più morbida rispetto ad LCD più grandi e con risoluzioni superiori. E’ comunque possibile utilizzare degli shader che ammorbidisco ulteriormente l’immagine o creano l’effetto scanlines.
Insomma, se avete un netbook buttato da qualche parte, potrebbe essere il momento di tirarlo fuori.
A me sta venendo l’idea di farci un case custom con spazio per metterci due piccoli joypad… Vediamo 🙂

 

Deus Ex Machina: la meraviglia che non fu.

Deus Ex Machina fece molto parlare di se, ma nonostante i vari riconoscimenti e le critiche entusiastiche non ebbe alcun successo commerciale. I motivi di questo strano fallimento sono molteplici, ma prima di affrontarli è il caso di spendere due righe sulla persona che lo creò e sulla sua etichetta.


Mel Croucher, Dubai e il Commodore PET.

La storia parte dalla metà degli anni ’70. L’architetto Mel Croucher fu assunto dallo sceicco Rashid bin Sa’id Al Maktun per costruire costosi edifici a Dubai, dando il via alla metamorfosi che ha portato questa città a diventare l’odierna capitale del lusso. Un giorno, leggendo il numero di Popular Science di ottobre ’77, venne a conoscenza del Commodore PET, un computer dalle linee futuristiche che risveglió la sua assopita vocazione informatica. Il prezzo non era alla portata di tutti, ma il boom economico di Dubai rese l’acquisto fattibile. Mel ne acquistò uno, e dopo alcuni giorni di utilizzo e di approfondimento realizzò che la creatività elettronica era più divertente e appagante del suo attuale lavoro.

Mel Croucher a Dubai

Automata UK: la prima software house del Regno Unito.

Il 19 novembre del 1977, Mel Croucher e Christian Penfold, un ex venditore di auto usate, fondarono l’Automata UK, da molti ritenuta la prima software house del Regno Unito. Il problema principale per la neonata azienda era la scarsa diffusione degli home computer, e quindi di una platea a cui vendere i propri prodotti. I canali pubblicitari canonici non potevano garantire un rientro, quindi il buon Mel architettò qualcosa di mirato, e per mettere in pratica la sua idea cercò l’appoggio di una stazione radio. Un suo amico ne possedeva una a Portsmouth (Radio Victory), e gli permise di utilizzare le bande AM ed FM nelle ore notturne. La trasmissione consisteva in un flusso dati che, una volta registrato e riprodotto su un computer, rivelava indizi per la risoluzione di alcuni enigmi. L’ascoltatore sarebbe stato costretto a chiamare in radio per comunicare la soluzione, e a quel punto il suo nome sarebbe stato aggiunto al database dei possibili acquirenti. Gli enigmi erano elaborati anche per carpire dati che avrebbero permesso di calibrare al meglio l’offerta.

Il logo di Radio Victory. 257 era la frequenza delle onde medie.

Le tre leggi videoludiche secondo Automata UK.

Le produzioni della Automata dovevano attenersi a tre imprescindibili regole:
1. Dovevano essere non violente;
2. Dovevano far ridere;
3. Dovevano includere tracce audio come parte del gameplay.
Tutti i giochi erano distribuiti su audiocassetta. Sul primo lato ci andavano i giochi, e sul secondo le tracce audio. Le canzoni erano spesso composte, suonate e registrate da Mr. Croucher, che da musicista amatoriale si arrangiava con molti strumenti. Questo approccio piacque, e prova ne fu il fatto che la sede dell’azienda era spesso inondata di telefonate e lettere di compiacimento, e che gli stand fieristici della Automata erano invasi dai fan. Questi stand fra l’altro diventavano spesso un siparietto comico in cui di frequente, fra una gag e un’altra, venivano regalate copie dei giochi.
Era una piccola compagnia indipendente, in cui si respirava un bel clima scherzoso e rilassato.

Ci sarebbe molto altro da raccontare sui vari personaggi e sulla compagnia stessa. Per approfondimenti vi rimando al libro linkato a fine articolo.

La sede della compagnia.

Deus Ex Machina: concetto e preparazione.

L’idea di qualcosa di particolare e unico ronzava nella testa di Mel da tempo, qualcosa che andasse oltre il concetto comune di videogioco, qualcosa che assomigliasse ad un film interattivo.
Decise quindi di creare una storia vagamente ispirata alle sette età di Shakespeare e ambientata in un futuro distopico (dopotutto siamo nel 1984…), il tutto accompagnato da una colonna sonora immersiva e capace di emozionare, un vero e proprio concept album.
Ma per farlo ci volevano i soldi, e non potendo contare sul capitale dell’azienda, decise di dare fondo ai suoi risparmi, £8.760 dell’epoca (circa £27.659.49 / €31329,90 di oggi).
In tre settimane disegnò le grafiche e definì lo screenplay con tutte le istruzioni del caso. Poi spese due terzi del budget per assumere le celebrità che parteciparono con la loro voce al progetto. Parliamo di:
– Jon Pertwee nel ruolo del Narratore;
Ian Dury nel ruolo del Fertilizzatore;
– Frankie Howerd nel ruolo della Polizia anti Difetti;
– Donna Bailey nel ruolo della Macchina;
– E. P. Thompson nel ruolo della Voce della Saggezza;
Mel Croucher nel ruolo del Difetto.

A questo punto, non avendo le risorse per assumere anche dei veri musicisti, si arrangiò a suonare un po’ di tutto, correggendo gli errori in post editing. Non era un bravo musicista, quindi la mole di correzioni necessarie con i mezzi dell’epoca fece lievitare i tempi di registrazione a sei settimane.
Ci volle un’altra settimana per definire una campagna pubblicitaria, poi tutto finì nelle mani di Andrew Stagg che riuscì ad impacchettare il tutto per la memoria limitata dello Zx Spectrum e a sincronizzare la colonna sonora col gioco, opera non di poco conto. 

Lo “studio di registrazione” di Mel.

Deus Ex Machina: il gioco.

Nella versione originale il gioco fu distribuito in una custodia che ricordava quelle da VHS. All’interno c’erano due audiocassette, una col gioco, l’altra con la colonna sonora, e un poster con la locandina da un lato e il manuale dall’altro. 
Nel manuale, l’incipit del gioco recitava:
“Nel 1987, gli archivi del Dipartimento della Salute e della Sicurezza Sociale, della Polizia, e della Sicurezza di Stato furono trasferiti all’interno di una banca dati centrale computerizzata. Nel 1994, la Difesa e la Sicurezza del Mondo Libero furono affidate completamente alla rete computerizzata. Giovedì pomeriggio, dopo il te e le preghiere compulsive, la Macchina si ribellò” 
Oggi un’introduzione del genere farebbe quantomeno sorridere, per questo per capire bene l’impatto che ebbe Deus Ex Machina è importante dargli una precisa collocazione storica.
Nel 1984 il futuro era ancora largamente immaginabile, e tutte le ipotesi, anche le più disparate, erano in fondo credibili. Le capacità sonore dei computer poi non erano tali da poter riprodurre campionamenti di una certa qualità, quindi la cassetta audio che accompagnava il gioco ha contribuito a dare un tocco fantascientifico al tutto. La sola sincronizzazione del gioco con la cassetta audio era incredibilmente evocativa.
Nel prossimo video mostro la parte in cui si regola la sincronizzazione e i primi minuti di gioco.

Deus Ex Machina: le recensioni.

La stampa videoludica acclamò il gioco all’unisono. Restarono tutti a bocca aperta dinanzi a questa brillante intuizione. Deus Ex Machina aveva stravolto il mondo videoludico, con una visione alternativa e con un prodotto di qualità.  Riporto alcune recensioni:

“Un’esperienza ineguagliabile. Deus Ex Machina è un classico.” – PC World

” Assolutamente eccellente. Non sessista, non razzista e non violento. Qualcosa di totalmente originale che da’ all’industria del software quella scossa di cui aveva bisogno” – Your Computer

“Concepito da uno dei pionieri dell’industria videoludica. Grande concept, avanti rispetto ai tempi. Un capolavoro. Un giorno tutti i giochii saranno così.” – Edge

“Deus Ex Machina è sbalorditivamente originale, unico e straordinario.” – The Sunday Times

“Il gioco più insolito mai rilasciato. Un bizzarro mix di Aldous Huxley (scrittore britannico, ndr), un album rock, psichedelia e Fratelli Marx.” – The Listener

“La perfezione! L’obiettivo di noi tutti. Bisogna giocarlo per crederci! Scalerà le classifiche!” – BBC

“Chiamarlo gioco è un insulto. Un’esperienza audio-visuale incredibilmente profonda. Istruzioni 100%, Giocabilità 100%, Grafica 100%, Rapporto qualità/prezzo 100%” – Home Computing Weekly

“Il concept più originale da quando è nato lo Spectrum. L’equivalente videoludico di The Wall dei Pink Floyd.”  Computer & Video Games

“Ci sono poche certezze nella vita… questa ne è una! Ipnotico, emotivo, nobile, umoristico, assolutamente eccellente.” – Crash Magazine

“Una visione maestosa, misteriosa, commovente. Cosa fai ancora lì seduto? Esci a comprare Deus Ex Machina.” – Commodore Horizons

“Deus Ex Machina è unico, una pietra miliare nella storia dei computer.” – Zzap!64

La versione per Commodore 64 prodotta dalla Electric Dreams.

Deus Ex Machina: La meraviglia che non fu.

Con questi presupposti il successo sembrava scontato. E invece, di lì a pochi mesi, La Automata UK avrebbe chiuso i battenti.
La compagnia fino a quel momento aveva operato in un mondo relativamente piccolo, fatto di produzioni a basso costo e piccola distribuzione. Infatti credo che nessuno da questa parte del mondo l’avesse mai sentita nominare prima di Deus Ex Machina.
Trattavano tutto senza intermediari e senza badare troppo alle apparenze. Basti pensare che Christian Penfold, cofondatore della compagnia e personaggio dalla spiccata “schiettezza”, era il responsabile delle relazioni pubbliche. Ma fino a quel momento era tutto a misura di quella dimensione.
La Automata UK solitamente vendeva i suoi giochi a circa 5 sterline. Per Deus Ex Machina fissarono il prezzo a circa 20 sterline, un prezzo alto per quei tempi che spiazzò la loro clientela tipica e invitò a nozze i pirati. Questi ultimi nel migliore dei casi riproducevano il prodotto nella sua integrità, nel peggiore duplicavano solo la cassetta del gioco, lasciando l’incauto acquirente con un gioco incomprensibile e senza sonoro.
A questo bisogna aggiungere la totale assenza di savoir-faire di Christian Penfold, che con i suoi modi inutilmente rudi riusciva a mandare a monte qualsiasi possibilità di inserimento nella grande distribuzione.
Due esempi su tutti.
La HW Smith, grande catena di librerie, chiese di poter ricevere il gioco in una confezione standard, dato che la confezione originale non avrebbe trovato posto nelle scaffalature utilizzate nei vari negozi. Penfold rispose “fareste meglio ad allargare gli scaffali, o venderò il mio prodotto altrove”. HW Smith bruciata.
Poi toccò alla grande catena di dischi HMV. Qui Penfold si inalberò semplicemente perchè gli avevano chiesto di compilare un foglio in cui, fra i vari dati, bisognava assegnare un genere al gioco. Qui il buon Christian rispose “non vi azzardate a mettere il gioco di Mel in nessuna di queste categorie, idioti. E’ arte!”. Epilogo scontato anche qui.
Le vendite furono deprimenti, e finito il primo stock non ci furono richieste per ulteriori copie. L’assenza di esperienza nel mercato globale fece si che fosse prodotta solo la versione per ZX Spectrum, lasciando a secco i milioni di potenziali acquirenti che possedevano un Commodore 64 o un Msx. Queste due conversioni videro la luce oltre un anno dopo, troppo tardi per beneficiare del glorioso impatto iniziale delle versione originale.
E’ un mondo difficile, e per quanto tu abbia qualcosa di buono da offrire, se non la impacchetti per bene non verrà mai presa in considerazione.

Pagina pubblicitaria.

E dopo?

L’Automata UK chiuse i battenti poco dopo il lancio del gioco. Le versioni per C64 e Msx furono prodotte su licenza rispettivamente dalla Electric Dreams e dalla Nu Wave. I vari personaggi coinvolti presero strade diverse.
A distanza di 30 anni, sfruttando le capacità dei mezzi moderni, è stato fatto un remake, Deus Ex Machina 2, che riprende tutto il vecchio gioco aggiungendo alcune cose che per motivi tecnici furono escluse in passato. La colonna sonora ha mantenuto il testo originale utilizzando arrangiamenti diversi. Per registrare le nuove voci sono stati assunti attori del calibro di Cristopher Lee. Anche questo tentativo è andato male a causa di errori già fatto col primo, ma questa è un’altra storia.

Per approfondimenti:
Deus Ex Machina: the best game you never played.
Deus Ex Machina 2

Cartuccia per NES 143 in 1

L’universo delle multirom è pieno di prodotti discutibili. Spesso troviamo cartucce con 500+ giochi, con nomi che non corrispondono al gioco e ripetizioni dello stesso titolo.
Questa 143 in 1 invece pare che sia stata creata con criterio. I 143 giochi sono unici, nessuna ripetizione, e soprattutto sono tutti giochi noti e apprezzabili. In più ha anche una SRAM extra alimentata da una comune batteria CR2032 che rende possibile il salvataggio nei giochi in cui questa funzione sia prevista.
All’accensione appare la lista, ordinata in 11 pagine da 13 giochi l’una. La navigazione è rapida e il caricamento è immediato. Ho provato al volo una decina di giochi, tutti funzionanti e corrispondenti al titolo. Funziona sia su console PAL che NTSC. Lo switch fra le due modalità avviene premendo il tasto RESET 8 volte a console accesa.
Il prezzo è variabile. Si va da 5-6 euro fino ad oltre 50, e l’unica differenza sono i tempi d’attesa.
E’ disponibile in vari colori. 

La storia (quasi) vera di Pong

Scavando fra vecchi file è spuntato fuori questo articolo scritto più di dieci anni fa. Rileggendolo mi sono reso conto di quanto alcuni elementi siano tutt’ora avvolti nell’oscurità o praticamente stravolti, grazie anche al camaleontico Nolan Bushnell che ce ne racconta sempre una. Quale sia la verità possono saperlo solo i diretti interessati, ma a me piace ricordarla così, quindi non modificherò nulla, errori compresi.
Dopotutto questa è la storia quasi vera di Pong.
Buona lettura 🙂

 

Nel bel mezzo della Silicon Valley c’è il Rooster T. Feathers un locale che ha preso il posto del ben più famoso Andy Capp’s Tavern, un bar in cui la gente del vicinato si ubriacava in compagnia. Il barcollare altalenante dei clienti fece da contorno ad un cubicolo di legno che di li a poco sarebbe diventato un fenomeno di massa, dando i natali ad un’industria che avrebbe causato nel tempo danni irreparabili a vite sociali ed economie familiari.

2 mazze e una pallina. Ci avreste scommesso?

2 mazze e una pallina. Ci avreste scommesso?

Correva l’anno 1966, e in Italia nascevano i Pooh. Questa immane tragedia non scalfì minimamente Nolan Bushnell, che una volta constatato che il cielo è blu sopra le nuvole decise di continuare i suoi studi di elettrotecnica all’università dello Utah. I videogiochi esistevano già, ma erano a dir poco grezzi, e giravano su computer tanto costosi quanto limitati, e soprattutto accessibili da pochi eletti.
Nolan bighellonava spesso sul computer dell’università per giocare a “Spacewar!”, probabilmente il primo videogioco ad assomigliare ad un videogioco. Questa piccola perla girava su uno di quei computer grandi come una stanza, nel caso specifico un DEC PDP-1.
 Durante il suo lavoro estivo al Lagoon, un parco divertimenti di Salt Lake City, il buon Bushnell immaginava un qualche “Spacewar!” a gettoni, e ai potenziali profitti che se ne sarebbero potuti ricavare. L’idea però era poco realizzabile dal punto di vista economico, dati i costi proibitivi della componentistica necessaria, quindi il progetto fu temporaneamente accantonato.

Configurazione standard per giocare a Spacewar! sul PDP1

Dopo il conseguimento della laurea nel 1968, Bushnell trovò lavoro alla Ampex, una delle più grandi aziende ingegneristiche del tempo. Qui conobbe Ted Dabney, con il quale condivise un piccolo ufficio e la passione per il “GO”, un gioco che io non ci ho capito una mazza, ma niente proprio. Avevano una scacchiera appesa al muro, con la quale giocavano solo nelle pause pranzo. Secondo me ci giocavano sempre, ma la storia la fanno gli instancabili eroi americani, quindi teniamo per buone le pause pranzo.
Alla Ampex prendevano un botto di soldi, abbastanza da poter stare tranquilli e senza pensieri, ma l’idea di un videogame a gettoni aveva piantato radici profonde nella testa di Nolan, che nel 1969 convinse Ted a lasciare la ditta per la quale lavoravano per fondare la Syzygy e dare vita al progetto. I colleghi non riuscivano a comprendere il motivo di questa scelta, dopotutto i videogiochi erano praticamente inesistenti e la cosa più interattiva che potevi trovare in casa era il tostapane.

Ted e Nolan che giocano a Go durante la pausa pranzo

Con la collaborazione della Nutting Associates produssero Computer Space, il primo videogioco a gettoni della storia, praticamente uno “Spacewar!” in versione mangiamonete. Ne furono prodotti circa 2000 esemplari, e nonostante la buona diffusione, i risultati commerciali non furono esaltanti. Qui ci starebbe benissimo un “grazie al cazzo” dato che il gioco era di difficile approccio per la clientela tipica di un bar. Si trattava di una nuova forma di intrattenimento, bisognava partire con qualcosa di più semplice.
Nel frattempo, i 2 inconsapevoli pionieri dovettero dare un nuovo nome alla loro società, dato che il nome scelto risultò essere già registrato. Si, esisteva un’altra azienda che si chiamava Syzygy, pensate un pò che culo. La scelta ricadde quindi su Atari, un termine che nel “Go” è usato per descrivere una situazione simile allo scacco al re nel gioco degli scacchi.
E secondo me ci giocavano sempre.

Computer Space e il suo cabinato preoccupantemente fallico

Il 1972 fu un anno ricco di eventi. La Magnavox commercializzò l’Odyssey, la prima console collegabile alla tv creata da Ralph Baer, noto come l’inventore dei videogiochi. Il 24 Maggio di quell’anno, Bushnell andò a Burlingame, California, dove si tenne una dimostrazione del prodotto. Fra i vari giochi presentati c’era quella che definivano una rappresentazione del tennis. Con un’enorme dose di fantasia potevi effettivamente vederci il tennis in quelle mazzarelle con la pallina. Era rudimentale, ma i presenti apprezzarono. Questo entusiasmo generale colpì Nolan, il quale intuì che c’era qualcosa che stava cambiando, qualcosa che andava subito identificato e sfruttato. Il primo passo fu contattare la Bally Midway, nota produttrice di flipper, con la quale sottoscrisse un contratto che prevedeva la produzione di un flipper e di un videogioco, nello specifico un racing game. Il secondo passo fu cercare di mettere su un team, quindi contattò un ex collega dell’Ampex, Al Alcorn, il quale era particolarmente talentuoso in informatica e in ingegneria elettrica, ma sapeva una mazza di game design (come credo chiunque, all’epoca). Al accettò l’incarico con la tranquillità di chi sarebbe tornato al vecchio lavoro nel caso che le cose fossero andate male. Ted ebbe il compito di fare il flipper, mentre Alcorn dovette lavorare su una versione arcade del gioco visto sull’Odyssey, al posto del gioco di guida pattuito. Sul perchè di quest’ultima scelta ci sono pareri discordanti. Alcune fonti dicono che sia stato fatto in buona fede, pensando che la Bally avrebbe accettato comunque il videogioco. Altri dicono che fu fatto di proposito per portare alla rescissione del contratto e detenere così tutti i diritti del prodotto. “Nolan Bushnell” e “buona fede” fanno però fatica a convivere nella stessa frase.

Magnavox Odissey. Non si capisce chi stesse facendo cosa

Al completò Pong in tre mesi. C’erano 75 circuiti TTL che controllavano le mazze, la pallina e il contatore dei punti. Le istruzioni erano molto semplici, infatti l’unica scritta che capeggiava sul cabinato finale era “avoid missing ball for high score”, in pratica “se perdi le palle, perdi”. Wow.
Il gioco fu confezionato in un contenitore arancione con dentro una tv Hitachi in bianco e nero comprata da Al per $75 da un rivenditore locale. La gettoniera fu ricavata da una bottiglia di plastica per il latte. Portarono questo cabinato poco convinto e poco convincente all’Andy Capp’s Tavern. Bill Gattis, il proprietario del bar, appena li vide con una mano si toccò le palle e con l’altra indicò il cabinato di Computer Space, che era li principalmente a consumare energia elettrica. I bravi ragazzi riuscirono a convincere Bill a sperimentare questo nuovo prodotto, e lo piazzarono su un barile, nella zone dove c’erano i flipper, il jukebox e il famelico cabinato di Computer Space. Pong era un gioco semplice da capire e difficile da padroneggiare, soprattutto nel coin op originale dove, a causa di alcuni limiti tecnici, le mazze non potevano difendere tutta l’area, non arrivando a toccare i bordi, elemento che arricchì in qualche modo il gameplay.
I membri dell’Atari rimasero nel bar un paio d’ore per valutare la reazione dei clienti, che si rivelò oltremodo incoraggiante.

La prima incarnazione di Pong

Forte di questo preliminare successo, Nolan incartò una versione trasportabile del gioco, e andò a Chicago, nella sede della Bally Midway. Durante la sua assenza, il gioco posto nell’Andy Capp’s Tavern smise di funzionare. Il proprietario del bar con una mano si toccò le palle e con quell’altra chiamò l’Atari, inveendo in codice. Al Alcorn, che era una persona dalla spiccata spiritualità, colse il significato mistico del codice, e passò a dare un’occhiata. Le varie fonti che ho consultato dicono che la causa del malfunzionamento fu la gettoniera stracolma. E qui mi sorge una domanda:  ma come si fa a non capire che c’è la gettoniera piena? In ogni caso, Al sostituì la gettoniera con un contenitore più grande.
Il gioco confermò il suo successo, al punto che in parecchi si recavano al bar solo per giocare, cosa insolita all’epoca.

Ma torniamo a Chicago. La Bally Midway rifiutò Pong, e dato che il contratto non era stato rispettato, fu rescisso, lasciando all’Atari i diritti del gioco. (Toh, che cosa inaspettata, vero Nolan?)
Al suo ritorno si incontrò con gli altri due membri all’Andy Capp’s, e li mise al corrente dei risvolti della trattativa. Alcorn riferì a Bushnell della gettoniera stracolma, e che in pochi giorni il prototipo aveva raggiunto una ragguardevole notorietà, un ottimo pretesto per mettersi definitivamente in proprio e cominciare a produrre in autonomia i cabinati, opera fino a quel momento affidata a Nutting Associates.

Il trio ll’erta e pieno di brio, Ted Dabney, Nolan Bushnell e Allan Alcorn

I tre dovettero arrangiarsi parecchio per cominciare la produzione. Ted comprò di tasca sua 50 tv da un distributore di San Francisco, successivamente chiamò un falegname ordinandogli 50 cabinati, non sapendo quando e se fosse riuscito a pagarli. Nel novembre del 1972 furono assemblati 12 cabinati e furono piazzati in giro per il sud della California. Comprarono anche un furgone malmesso per effettuare personalmente i trasporti. La distribuzione di Pong era ufficialmente iniziata. A marzo del 1973, Atari aveva già prodotto e distribuito 8000 cabinati. Altri sviluppatori, vedendo il successo del gioco vollero cavalcare l’onda per accaparrarsi qualche profitto, dando inizio all’invasione di cloni del gioco. Il bello è che per copiare Pong, puoi solo fare Pong. Al massimo puoi spostare la posizione dei punteggi. I cloni più noti erano Paddle Battle, Space Ball, Paddle-Ball, Winner e Rally (Rally???). Alcuni anni dopo ci fu una vera e propria invasione di cloni in versione casalinga. Impossibile tenerne il conto. Fare il “clonista” era molto redditizio, niente costi di sviluppo ne di marketing.
Alcorn, ricordando quei giorni, usa la famosa citazione “l’imitazione è la forma più sincera della lusinga”, per poi concludere con “stronzate, meglio i soldi”. Le imitazioni però non ostacolarono la crescita di Atari. Bushnell stimò che i cabinati ufficiali fruttarono mediamente $40 al giorno, che moltiplicati per tutti cabinati attivi facevano un bel gruzzolo. Nei primi 2 anni furono venduti cabinati per $3.200.000. 

Il furgone per il trasporto dei cabinati. Mi piace immaginarlo così

Prima del successo di Pong, tutti scommettevano sulla chiusura dell’Atari. Nessuno avrebbe mai immaginato che un gioco così semplice fosse esattamente ciò che la gente voleva. Oggi è considerato il più importante arcade game della storia, responsabile della nascita dell’industria videoludica e della proliferazione di massa dei videogames. Si stima che abbia incassato 78,5 miliardi di dollari, nel periodo che va dalla sua nascita alla fine del 2012.
Ma dopo Pong, cosa è successo?
Le produzioni successive furono Space Race e Tank, entrambi affidati ad un altro ex della Ampex, Steve Bristow. Ma il vero erede di Pong fu un gioco creato da un ventenne drogatissimo di San Francisco, rientrato da poco da un viaggio sabbatico in India, che avvalendosi della collaborazione di un amico che lavorava presso la HP diede vita a Breakout, cavallo di battaglia Atari per molti anni a venire. I due erano Steve Jobs e Steve Wozniak. Sono ovunque. Ieri ho alzato il tappeto e c’erano Steve Jobs e Steve Wozniak.
Poi Steve Jobs ha tirato fuori la verità su breakout, ma questa è un’altra storia.

Stavo cercando immagini di breakout su google… Cliccate sull’immagine

L’Atari fu successivamente acquisita dalla Warner Communications per la maestosa cifra di $28.000.000, di cui $15.000.000 finirono diritti nelle tasche di Nolan. Ted Dabney fu progressivamente escluso dalle attività della compagnia, in quanto ritenuto non necessario. Ralph Baer disse che Nolan diede sicuramente il via all’intera industria videoludica, ma non inventò una minchia. Il creatore dell’Odissey ha sempre sostenuto che Pong fosse un clone del suo gioco del tennis, e insieme alla Magnavox portò tutti in tribunale. Oltre alla somiglianza fra i due giochi, Ralph Baer e la Magnavox erano detentori di alcuni brevetti riguardanti l’interazione su schermo fra elementi controllati dalla macchina ed elementi controllati dal giocatore, probabilmente una meccanica comune a tutti i videogiochi. Nel 1976 l’Atari perse la causa, e subì un duro colpo finanziario. Alcorn ricorda che furono pagati $300.000, Bushnell dice $500.000, e Curt Vendel, che ha visionato la documentazione riguardante il processo, afferma che furono $1.500.000. Baer sostiene che Bushnell, sapendo che avrebbe perso la causa, preferì patteggiare, e Pong divenne una licenza Magnavox, con tutte le conseguenze del caso. Da parte sua, Nolan ha sempre ritenuto che avrebbe vinto la causa, ma scelse il patteggiamento per una questione strategico-economica. Per la serie “Nolan ce la racconta”.

Ralph Baer sull’esito della controversia legale

Al di là della leggera ironia, Pong ha sicuramente il merito di aver portato i videogiochi nella cultura contemporanea, e di aver scoccato la scintilla che ha fatto nascere un settore dell’intrattenimento che nel tempo è diventato il più redditizio.

Commodore 64 Christmas Pack

Il pack compresso pesa 2.16GB (5.94GB decompresso), e dentro c’è un pò di tutto. E’ confezionato per essere utilizzato al meglio su una 1541 ultimate o Ultimate64, ma i file sono ovviamente utilizzabili con un emulatore, sd2iec ecc. ecc.

Demos – I file sono divisi per anno, dal 1982 al 2018
GeosMP3 – Ultima evoluzione del GEOS (necessaria REU da almeno 4MB)
Giochi – Divisi in cartelle in ordine alfabetico, ogni cartella contiene il gioco, l’eventuale sid e un file nfo con informazioni specifiche (formattato per essere letto dal menu delle ultimate)
Graphics – Raccolta di immagini di vario tipo, divise per anni, dal 1987 al 2018
Sex – Raccolta delle alternative al Postalmarket
Tools – Programmi di vario genere, divisi in cartelle in ordine alfabetico

Buon divertimento e Buon Natale!

Commodore 64 Christmas Pack

 

Coleco Amaze-A-Tron

Il Coleco Amaze-A-Tron è un gioco elettronico del 1978 in cui bisogna uscire da un labirinto, con 8 modalità di gioco e la possibilità di giocare in due.
Nelle istruzioni c’è scritto che la combinazione di questi elementi genera più di un milione di labirinti, assicurando una certa rigiocabilità nel tempo.
La semplicità e l’immediatezza rendono questo gioco davvero divertente, nonostante i 40 anni di età. A breve restaurerò per bene la scatola.

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